Per la panificazione quindi le farine più indicate risultano quelle di Grano tenero (Triticum aestivum) di Grano duro (Triticum durum) di Farro (Triticum dicoccum), come anche dell’iraniano Khorasan (Triticum turgidum) del piccolo Farro (Triticum monococcum) e dello Spelta (Triticum spelta). Le farine di questi cereali risultano le più ricche di glutenina e gliacina e possono essere utilmente miscelate con farine di Segale (Secale cereale) di Orzo (Hordeum) e di Granturco (Zea mais) per la produzione di un buon pane fatto solo di farina, acqua, lievito madre e se si gradisce un poco di sale. I cereali per oltre 10 millenni sono stati selezionati in funzione della digeribilità e del sapore, della produttività e della conservabilità, del loro adattamento ai diversi territori ed alle stesse cure colturali, venendo accuratamente scelti per essere seminati, dividendo i chicchi più belli e più sani dai più striminziti e meno vitali. Il farro (Triticum dicoccum) ad esempio (come anche lo Spelta, il piccolo Farro ed il Khorasan da cui è derivato il Kamut), è un antichissimo frumento che ancora produciamo in Italia, appartenente a questo tipo di selezione. Si parla in questi casi di ‘popolazione’ più che ‘specie’ ben definita, essendo costituito da una moltitudine di semi, caratterizzati da diverse sfumature, che consentono nell’insieme di resistere al freddo ed alla siccità alla carenza di elementi nutritivi come all’abbondanza delle piogge; un vero signore insomma che tra l’altro, non essendo suddivisibile in varietà, non è stato oggetto di ‘brevetto’ da parte delle società sementiere. Serve ricordare che i semi di frumento venivano scambiati e commercializzati, sin dai tempi dei Fenici, dei Greci e dei Romani, a grandi distanze e spesso le famiglie più ricche e avide riuscivano ad accaparrarsene enormi quantità per occultarle successivamente senza pudore al fine di provocare un aumento dei prezzi speculando, proprio come si continua a fare oggi. Attualmente assistiamo alla lenta rivalutazione delle varietà di grano selezionate attraverso semplici incroci, dalla fine dell’800 fino agli anni ‘50, per le caratteristiche nutrizionali oltre che funzionali. Tra queste varietà vale la pena di ricordare, affinché vadano recuperate, mantenute in coltivazione e valorizzate: le varietà di Grano duro Dauno, Garigliano (Tripolino x Cappelli), Russello, Cappelli (1915), Timila e Tripolino.
Tra le varietà di grano tenero alcune più resistenti al freddo e poco esigenti in fertilità: Abbondanza (1950). Autonomia (1938), Frassineto (1927), Gentil Rosso, Ovest (1952), Verna (1953), Vivenza (1932). Meno resistenti al freddo e più esigenti in fertilità erano invece: Campodoro (1952), Conte Marzotto (1959), Generoso (1952), Mara (1947) e Produttore (1954). Tra le varietà , sempre di grano tenero, con presenza di reste aghiformi e quindi meno gradite in fase di maturazione dai cinghiali, tutte esigenti per la fertilità, si ricordano Aurora (1952), Falchetto (1955), Fiorello (1947), Fortunato (1948), Funo (1944), Funone (1955), Funotto (1952), Glutinoso (1957), Leone (1955), Mentana (1923) e San Marino (1954)
Con il sopravvento delle concimazioni chimiche il grano, che con i suoi lunghi steli spesso rischia di piegarsi (allettarsi) proprio durante la maturazione sotto il peso delle spighe mature, del vento e delle eventuali piogge, divenne ancora più soggetto, crescendo sbilanciato, ad essere allettato. Si rese obbligatoriamente necessario quindi selezionarlo per ottenerlo nano, resistente ad una nutrizione squilibrata e chiaramente sempre più produttivo, trascurando la sua digeribilità e la correlata panificazione naturale delle sue farine. Non si risparmiò nulla pur di ottenerne il chiaro risultato di far vendere azoto sintetico all’industria chimica che doveva sconfiggere la fame nel mondo! Ricordando un professore, tra l’altro Senatore della prima Repubblica, che si illuminava prospettando di lanciare azoto per via aerea sui pascoli magri della meravigliosa Murgia barese. Nessuna attenzione fu posta dunque, dagli anni ’60 in poi, alle reali proprietà organolettiche dei grani, ma solo alle esigenze della nuova industria molitoria e dei pastifici emergenti e soprattutto all’adattamento alle irragionevoli concimazioni chimiche. Ai bambini spieghiamo, durante gli interventi nelle scuole elementari, che ogni pianta contiene almeno 25-30 elementi chimici, tutti indispensabili per il suo accrescimento armonico e per la sua salute. Concimando puntualmente solo con azoto e al massimo anche con fosforo e potassio cosa succede agli altri micro elementi presenti nel terreno? Succede che venendo ugualmente assorbiti dalle radici delle piante diminuiscono sempre di più, rendendo i terreni sempre meno fertili e facendo avanzare la desertificazione.
Gli importantissimi microrganismi, gli insetti e la complessa biodiversità vegetale, che nella madre terra vivente interagiscono, si nutrono e si riproducono, perdono il loro naturale equilibrio per cui il grano coltivato si ritrova squilibrato (allettandosi anche in senso figurato) perdendo assurdamente la sua funzione di alimento. Alcune nuove varietà di grano si ottennero da vere e proprie mutazioni genetiche indotte ad esempio con l’uso scriteriato del Plutonio (varietà Creso tuttora diffusissima), mentre i genetisti si vantavano di poter mettere a disposizione degli agricoltori (non certo per arricchirli o farli lavorar di meno) “nuove razze ad alta produttività e superiori qualità industriali”. La moderna industria molitoria intanto aveva sostituito con i suoi mulini meccanici l’artigianato diffuso ovunque che utilizzava meravigliosi molini a pietra. Mentre i grandi pastifici, dovendo omologare il prodotto, agli inutili minuti di cottura indicati in etichetta (mentre sempre assaggiamo la pasta prima di scolarla), preferivano incassare i soldi che lo stoccaggio del grano locale tuttora consente di ottenere ed acquistare dall’estero (Canada soprattutto, ma anche Australia, Sud America e lo stesso Egitto) l’omogeneo grano migliorato geneticamente, squilibrato e avvelenato (entro i limiti di legge) dalle concimazioni chimiche, dai diserbi e dai trattamenti chimici. Dopo la raccolta il grano, immagazzinato nei silos metallici che mortificano il paesaggio rurale, riceve un’altra dose di specifici pesticidi. Chi ancora crede o vuol far credere che la chimica farmaceutica ha salvato il mondo dalle malattie, nasconde la propria testa in un deserto di interessi economici davvero incalcolabili.